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Diritti di Terzi

Nuovi orientamenti sui diritti di terzi

Come noto, il permesso di costruire viene sempre rilasciato fatti salvi i diritti di terzi.

Non si può infatti pretendere che l'Amministrazione accerti  i diritti pregiudicati dall'azione amministrativa.

Vi sono però delle situazioni che impongono l'esame di questi diritti e di prendere posizione sugli stessi.

Ciò in ragione del principio del giusto procedimento conseguenza della riformata legge 241/90 che vede tra l'altro l'accentuazione del rispetto delle posizioni dei soggetti privati, sia interessati che controinteressati, il diritto di partecipazione, la trasparenza, l'imparzialità. 

Di questi principi ha fatto recente applicazione anche il TAR Veneto, con sentenza n. 3435 del 7 settembre 2005, in attuazione di un  orientamento del Consiglio di Stato preso con decisione della V Sez. , 22 giugno 2000, n. 3225 (entrambe le sentenze sono sotto riportate).
Non può, comunque, pretendersi che l'ente esamini in maniera approfondita quanto vantato dai terzi, perché spetta a costoro dimostrare alla PA che il titolo non può concedersi per assoluto contrasto con la loro posizione.

Così, se viene chiesto il rilascio di un titolo edilizio per realizzare una sopraelevazione, e il confinante segnala e dimostra per tempo producendo adeguata documentazione, che l'intervento lede i suoi diritti, l'ente dovrà esaminare il titolo privato che impegna il richiedente a non alzare il fabbricato per rispettare la servitù del confinante.

In presenza di una violazione  documentata dei diritti dei terzi controinteressati,  è quindi opportuno notificare al richiedente i motivi ostativi al rilascio del permesso ai sensi dell'art. 10 bis della L. 241/90, facendo quindi partecipare interessati e controinteressati, alle valutazioni lasciando a loro l'onere le dimostrare le proprie affermazioni.

E' pure opportuno informare il vicino controinteressato, che non sempre viene portato a conoscenza dei progetti del confinante, qualora la violazione dei suoi diritti emerga chiaramente dall'istruttoria della pratica. 


Consiglio di Stato sez. V 22 giugno 2000, n. 3525
Il Comune rilascia la concessione fatti salvi i diritti di terzi, ma, nel caso fosse a conoscenza od accertasse che esistano condizioni privatistici ostativi al rilascio può, anzi, dovrebbe diniegare la concessione.

Domanda di concessione edilizia per una sistemazione di una parte di fabbricato. Nella sistemazione il fabbricato viene leggermente alzato. Esiste una convenzione coi vicini, presente nell’atto di compravendita, che impegna i proprietari a non alzare l’edificio. La commissione edilizia rilascia parere favorevole, ma si oppongono i vicini, per il non rispetto della convenzione. Il Comune non rilascia la concessione. Ricorso al Tar, che respinge. Ricorso al Consiglio di Stato sostenendo che il Comune non deve interessarsi dell’aspetto civilistico della concessione, ma solo di quello pubblicistico.

Il Consiglio di Stato stabilisce primariamente che il Comune, come deve accertare il titolo di proprietà dell’immobile su cui viene richiesta la trasformazione urbanistica, può tranquillamente estendere la sua istruttoria ad eventuali diritti di terzi, per evitare inutili contenziosi. Va sottolineato che questa istruttoria non è obbligatoria, ma, nel caso il Comune venisse a conoscenza di fatti specifici, non può esimersi dalla valutazione del rilascio della concessione alla luce di vincoli privatistici.

" In particolare, non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l'amministrazione ha il potere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile…."

… l'esame del titolo di godimento operata dall'amministrazione non costituisce una sorta di eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma rappresenta la coerente applicazione del principio secondo cui l'autorità pubblica deve sempre verificare la legittimazione del soggetto che propone un'istanza."

"…………la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo ancora più stringente, un adeguato esame sulla corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti fattuali che la giustificano, anche in relazione alla titolarità della necessaria posizione legittimante.
È vero che la valutazione delle richieste di concessione edilizia mira, essenzialmente, ad assicurare la conformità con gli strumenti di pianificazione urbanistica. Ma non si può negare all'amministrazione comunale il compito di assicurare, comunque, un ordinato svolgimento dell'attività urbanistica, conforme all'assetto dei rapporti interprivati relativi all'area interessata dall'intervento. Assentire la realizzazione di opere edilizie a soggetti certamente privi del necessario titolo di godimento sull'immobile significherebbe alimentare il contenzioso tra le parti, con grave danno anche per l'interesse pubblico all'armonico sviluppo dell'attività di trasformazione urbanistica.

……deve premettere che l'affermazione del potere di verifica del titolo di proprietà non significa affatto che l'amministrazione abbia l'obbligo incondizionato di effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile considerato.

…….Peraltro, qualora sia acquisita la prova della esistenza di servitù di non edificare (totale o parziale), gravanti sull'immobile oggetto della richiesta di concessione edilizia, l'amministrazione ha l'obbligo di valutare tale elemento ai fini del diniego del provvedimento."

Va comunque considerato che la concessione rilasciata in contrasto con una servitù esistente non è illegittima.

" In questo ambito si inserisce l'orientamento giurisprudenziale in forza del quale l'eventuale mancato rispetto di una servitù pattizia preesistente non è di per sé motivo d'illegittimità della concessione edilizia rilasciata per costruire sul fondo servente, in quanto il comune non è tenuto, in sede di esame delle relative domande di concessione, a ricercare d'ufficio, né ad opporre al richiedente la pattuizioni limitative della proprietà che costui o il suo dante causa abbiano concluso con i terzi, tant'è che la concessione stessa viene rilasciata sempre con la clausola di salvezza dei diritti di questi ultimi (Consiglio Stato, sez. V, 8 aprile 1997, n. 329)."

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

DECISIONE n. 3525 depositata il 22 giugno 2000

sul ricorso in appello n. 142/1995 proposto da R.C. e G.M., rappresentati e difesi dagli Avvocati E.P. ed H.C. ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Roma, Via .....

CONTRO

il Comune di Bolzano, in persona del Sindaco in carica, rappresentate e difese dagli Avvocati M.C. e S.G. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, Via ....; H.S., S.Z., M.Z. e S.M., non costituiti

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano, 23 agosto 1994, n. 233.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 28 marzo 2000, il Consigliere Marco Lipari;
Uditi l'Avv. P., su delega dell'Avv. P., e l'Avv. C.;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dagli attuali appellanti contro il provvedimento dell'assessore delegato all'urbanistica del Comune di Bolzano, prot. nr. 4864, in data 10 novembre 1992, di reiezione dell'istanza di concessione edilizia presentata il 12 febbraio 1990 dal Sig. R.C.

Gli appellanti ripropongono le censure disattese dal tribunale.

L'amministrazione comunale resiste al gravame.

I controinteressati, pur ritualmente intimati, non si sono costituiti.

DIRITTO

1. In data 12 febbraio 1990, il Sig. R.C. presentava al Comune di Bolzano un'istanza diretta ad ottenere la concessione edilizia per la trasformazione e l'ampliamento delle particelle mappali 12 e 13 in p.ed. 2889 in P.T. 2685/11 C.C. Dodiciville in un alloggio composto da stanza da letto, cucinino e bagno per mq complessivi 42. Il progetto comportava l'ampliamento di volume (mc. 118,35) dell'ultimo piano di un immobile preesistente verso le pareti esposte ad ovest, come affermato dalla stessa richiesta di concessione edilizia, nella parte dedicata al calcolo analitico dei volumi.

La commissione edilizia comunale, nella seduta del 28 giugno 1990 esprimeva parere favorevole sul progetto, rilevando la compatibilità dell'opera con i vigenti strumenti urbanistici.

Peraltro, alcuni dei proprietari confinanti con l'immobile interessato dall'intervento manifestavano la loro opposizione alla concessione edilizia, facendo presente che sull'immobile gravava una servitù altius non tollendi, che limitava l'edificabilità all'altezza di metri 11, in virtù dell'atto di compravendita 2 maggio 1947, intavolato con decreto del giudice tavolare n. 544/1947.

Le Signore M.B.S. ed H.O. proponevano ricorso alla Provincia di Bolzano, ai sensi dell'articolo 37 dell'Ordinamento Urbanistico Provinciale, allegando le sentenze n. 688/1986 del Tribunale di Bolzano e n. 308/1987 della Corte d'Appello di Trento, che, a loro dire, avevano confermato l'esistenza della servitù.

Con deliberazione n. 5127, in data 3 settembre 1991, la Giunta provinciale accoglieva il ricorso. Quindi, l'assessore provinciale all'urbanistica, con nota in data 1 ottobre 1991, invitava il sindaco del Comune di Bolzano a non rilasciare la richiesta concessione edilizia.

Con il provvedimento impugnato in primo grado, l'amministrazione comunale di Bolzano respingeva definitivamente l'istanza proposta dall'interessato (confermata dall'acquirente dell'immobile Sig. G.M.).

Il provvedimento impugnato in primo grado, adottato all'esito di una complessa vicenda procedimentale, è motivato con riferimento all'esame dei ricorsi dei confinanti ed alla circostanza che "non è stata tavolarmente cancellata la servitù di altius non tollendi su tutte le P.T. interessate", costituita con contratto di compravendita 2 maggio 1947 ed intavolata con G.N. n. 554/1947, che vieta di costruire ad un'altezza superiore agli 11 metri.

2. Con un primo motivo di gravame, gli appellanti sostengono che non compete all'amministrazione comunale il potere di respingere una richiesta di concessione edilizia, pretendendo la cancellazione di una servitù gravante sull'immobile oggetto dell'intervento, in quanto il controllo dell'attività urbanistica riservato all'amministrazione va effettuato esclusivamente alla stregua di norme pubblicistiche, senza attribuire rilievo alla disciplina civilistica della proprietà.

La censura è infondata.

3. L'esecuzione di opere di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio è sottoposta ad una disciplina complessa, che riguarda, rispettivamente, la definizione degli assetti della proprietà immobiliare ed il controllo pubblicistico sulla conformità alle regole ed ai piani di derivazione pubblicistica. Gli ambiti delle due discipline, finalizzate alla tutela di interessi di consistenza disomogenea, non sono pienamente sovrapponibili.
È quindi possibile che un determinato intervento edilizio, astrattamente conforme alle prescrizioni urbanistiche, si ponga in contrasto con la normativa di derivazione civilistica, costituendo la violazione di diritti reali di godimento o di altre facoltà dei soggetti interessati.

4. Tuttavia, la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi puniti di contatto fra i due diversi profili.
Da una parte, la normativa edilizia di carattere regolamentare è idonea a fondare pretese sostanziali nei rapporti interprivati, che assumono la consistenza ed il grado di protezione del diritto soggettivo.
Dall'altra parte, alcuni elementi di origine civilistica assumono una rilevanza qualificata nel procedimento di rilascio della concessione edilizia.

5. In particolare, non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l'amministrazione ha il potere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un'attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
In termini generali, la funzione autorizzatoria dell'amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria, che comprende, comunque, l'acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza ed il bene giuridico oggetto dell'autorizzazione.
E, d'altra parte, l'esame del titolo di godimento operata dall'amministrazione non costituisce una sorta di eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma rappresenta la coerente applicazione del principio secondo cui l'autorità pubblica deve sempre verificare la legittimazione del soggetto che propone un'istanza. In questa prospettiva si spiegano le numerose norme di settore in materia di licenze e di autorizzazioni commerciali, che impongono all'istante di fornire la prova del titolo di godimento dei locali destinati all'esercizio.

6. Questa elementare esigenza di verifica sull'ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio risulta presente anche nell'ambito del procedimento di rilascio della concessione edilizia.
Non solo, ma la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo ancora più stringente, un adeguato esame sulla corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti fattuali che la giustificano, anche in relazione alla titolarità della necessaria posizione legittimante.
È vero che la valutazione delle richieste di concessione edilizia mira, essenzialmente, ad assicurare la conformità con gli strumenti di pianificazione urbanistica. Ma non si può negare all'amministrazione comunale il compito di assicurare, comunque, un ordinato svolgimento dell'attività urbanistica, conforme all'assetto dei rapporti interprivati relativi all'area interessata dall'intervento. Assentire la realizzazione di opere edilizie a soggetti certamente privi del necessario titolo di godimento sull'immobile significherebbe alimentare il contenzioso tra le parti, con grave danno anche per l'interesse pubblico all'armonico sviluppo dell'attività di trasformazione urbanistica.

7. Ciò chiarito, si tratta di stabilire l'ampiezza e la profondità dei poteri istruttori spettanti all'amministrazione in sede di verifica del titolo di proprietà sull'immobile.
Al riguardo, si deve premettere che l'affermazione del potere di verifica del titolo di proprietà non significa affatto che l'amministrazione abbia l'obbligo incondizionato di effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile considerato. Anzi, il principio generale del divieto di aggravamento del procedimento consente all'amministrazione di semplificare ed accelerare tutte le attività di verifica sul titolo, valorizzando gli elementi documentali forniti dalla parte interessata.
In ogni caso, non può gravare sull'amministrazione l'onere probatorio di appurare l'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che incidono, limitandola, sull'attitudine edificatoria dell'immobile, trattandosi di attività istruttoria eccessivamente difficile e lunga.

8. Peraltro, qualora sia acquisita la prova della esistenza di servitù di non edificare (totale o parziale), gravanti sull'immobile oggetto della richiesta di concessione edilizia, l'amministrazione ha l'obbligo di valutare tale elemento ai fini del diniego del provvedimento.
Infatti, la servitù costituisce un peso imposto al fondo che conforma, limitandolo, il diritto di proprietà del titolare, anche in relazione alla pretesa edificatoria vantata nei confronti della amministrazione.
Al contrario, in mancanza di adeguati elementi istruttori, ritualmente acquisiti nel corso del procedimento, la concessione edilizia è legittimamente rilasciata, ancorché sia accertata, successivamente, l'esistenza di vincoli gravanti sulla proprietà del concessionario.
In questo ambito si inserisce l'orientamento giurisprudenziale in forza del quale l'eventuale mancato rispetto di una servitù pattizia preesistente non è di per sé motivo d'illegittimità della concessione edilizia rilasciata per costruire sul fondo servente, in quanto il comune non è tenuto, in sede di esame delle relative domande di concessione, a ricercare d'ufficio, né ad opporre al richiedente la pattuizioni limitative della proprietà che costui o il suo dante causa abbiano concluso con i terzi, tant'è che la concessione stessa viene rilasciata sempre con la clausola di salvezza dei diritti di questi ultimi (Consiglio Stato, sez. V, 8 aprile 1997, n. 329).
In tal modo, la Sezione ha esaminato una vicenda in certo modo speculare e simmetrica a quella oggetto del presente contenzioso, stabilendo che, in mancanza di elementi, l'amministrazione non ha l'obbligo di verificare l'inesistenza di diritti di servitú che limitino l'ampiezza del titolo di proprietà del richiedente. Pertanto, la concessione edilizia rilasciata in contrasto con i diritti dei terzi, non è di per sé illegittima, a meno che non sia accertato il contrasto con elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento.

9. Nel presente giudizio, invece, è in contestazione la legittimità non già di una concessione edilizia rilasciata, bensí del suo diniego, basato su precisi dati documentali e probatori emersi nel corso dell'istruttoria.
In tali ipotesi, l'accertata carenza degli elementi che dimostrino l'esistenza di un collegamento qualificato tra il richiedente ed il bene immobile oggetto della richiesta di concessione edilizia determina la legittimità del provvedimento di diniego.
Del resto, la Sezione ha chiarito che, ai sensi dell'art. 41, legge 28 gennaio 1977, n. 10 e art. 3, legge prov. Bolzano 3 gennaio 1978, n. 1, la concessione edilizia può essere rilasciata soltanto al proprietario dell'area o a chi abbia altrimenti titolo per richiederla; di conseguenza, pur se il rilascio della concessione avviene salvi i diritti dei terzi, il comune è tenuto a verificare l'esistenza del titolo e - in mancanza di prova di quest'ultimo - legittimamente nega il rilascio della concessione (Consiglio Stato, sez. V, 3 settembre 1985 n. 279).

10. È appena il caso di osservare che la legittimità del diniego, correlato dall'accertamento di limitazioni del titolo di proprietà, emerge con particolare evidenza nell'ambito della Provincia e del comune di Bolzano, per due concorrenti ragioni.
a) Il sistema della intavolazione di diritti reali consente una rapida ed efficace verifica dell'assetto dei diritti reali insistenti sugli immobili oggetto del richiesto intervento edilizio. L'amministrazione, senza particolari appesantimenti dell'iter procedimentale, è in grado di verificare l'esistenza di limitazioni alla pretesa edificatoria dell'interessato, tenendo conto dell'efficacia costitutiva dell'iscrizione tavolare e della relativa cancellazione.
b) Il procedimento per il rilascio della concessione edilizia previsto dalla legislazione provinciale e dal regolamento comunale di Bolzano prevede una partecipazione qualificata dei "confinanti", i quali sono in grado di indicare tempestivamente tutte le ragioni ostative al rilascio della richiesta concessione edilizia, comprese quelle relative all'inidoneità del titolo di proprietà, limitato da diritti di servitú che incidono sulla attitudine edificatoria del suolo.
Ed è significativo che, nella concreta vicenda all'origine del presente giudizio, la determinazione negativa del comune di Bolzano non è dipesa da una autonoma decisione dell'amministrazione, ma dalla iniziativa assunta da alcuni dei proprietari confinanti con la proprietà del richiedente la concessione.

11. Contrariamente a quanto ritenuto dagli appellanti, il concetto di disponibilità dell'area ai fini del rilascio della concessione edilizia, non è circoscritto alla dimostrazione della proprietà dell'immobile, ma indica l'esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell'immobile. Pertanto, la disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono proprio sulla possibilità di edificazione del suolo.

12. Sotto altro profilo, gli appellanti deducono che il progetto non segna alcun contrasto con la servitú altius non tollendi, in quanto non prevede alcuna elevazione dell'originario fabbricato, ma solo una sistemazione degli esistenti volumi tecnici.
La censura è infondata. Infatti, dalla documentazione allegata alla richiesta, risulta che il progetto comporta un apprezzabile mutamento della volumetria complessiva del fabbricato, realizzato attraverso l'ampliamento della sagoma esterna dell'edificio, ancorché senza alterazione dell'originaria altezza (che pure già superava i limiti stabiliti dalla servitú).
In tal modo, si mira a realizzare un risultato comunque contrastante con il diritto di servitú degli interessati.

13. Sotto altro profilo, gli appellanti sostengono il difetto di motivazione del diniego impugnato in primo grado.
La censura è infondata. La motivazione del provvedimento, seppure sintetica, individua in modo puntuale la ragione determinante del diniego, correlata all'asserito contrasto con il diritto di servitú gravante sull'immobile. E non rileva la mancata indicazione puntuale delle norme violate, attesa 1'inequivocità del percorso argomentativo sviluppato dal Comune.

14. Gli appellanti deducono, ancora, che nessuna limitazione di carattere civilistico era opponibile alla richiesta di concessione edilizia, in quanto:

a) la servitú è stata cancellata nei confronti dei controinteressati H., S. e M. Z.;
b) il controinteressato Morawetz ha dichiarato "di non avere alcuna lamentela da sollevare circa il nuovo edificio costruito";
c) altri proprietari del fondo dominante hanno acconsentito, in via transattiva, a far conservare all'immobile la sua attuale altezza.

Anche tale motivo è infondato. Intanto, le dichiarazioni di rinuncia alla servitú, non iscritte nei registri tavolari, non assumono valore sostanziale in ordine alla definizione dell'assetto dei diritti reali.
In secondo luogo, la transazione relativa alla conservazione dello stato di fatto (realizzato in violazione della servitú) non implica anche l'acquiescenza ad ulteriore attività edilizia che incide sull'immobile attraverso un significativo incremento della cubatura complessiva del fabbricato.
La accettazione consensuale delle maggiori altezze in precedenza realizzate sull'immobile è riferita ad una determinata volumetria e non può comportare la rinuncia definitiva alla servitú.
In terzo luogo, la rinuncia alla servitú non è stata compiuta da tutti i proprietari dei fondi dominanti.
In quarto luogo, la persistenza di un interesse al rispetto dei diritti di servitú è confermata dalla circostanza che le Signore M.B.S., D.M. ed H.O. hanno proposto appositi ricorsi all'Autorità tutoria, lamentando la lesione delle loro proprietà.

15. In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato.

Le spese, come di regola, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello;

condanna gli appellanti a rimborsare al comune di Bolzano le spese di lite, liquidandole in lire quattromilioni;

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Cosí deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 marzo 2000, con l'intervento dei signori.

SALVATORE ROSA, Consigliere
STEFANO BACCARINI, Consigliere
KLANO DUBIS, Consigliere
CLAUDIO MARCHITIELLO, Consigliere
MARCO LIPARI, Consigliere Estensore


TAR Veneto sentenza  n. 3435/05
Il Comune non rilascia la concessione per la trasformazione di due luci in vedute in quanto a conoscenza che esistono condizioni privatistici ostativi al rilascio.

 

Ric. n. 1720/2005                                                                                                                                                                            Sent 3435/05

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:

Luigi Trivellato   Presidente

Fulvio Rocco       Consigliere

Alessandra Farina      Consigliere, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1720/2005 proposto dalla S.R.L. G D, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti M A e P G, con elezione di domicilio presso lo studio del secondo in Venezia, ;

CONTRO

il Comune di Portogruaro in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. C D, con elezione di domicilio presso lo studio della stessa in Mestre, Via ;

e nei confronti

di S G B B, non costituito in giudizio;

PER

l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione:

1) del provvedimento 27.4.2005 n. 21572 con il quale il Dirigente dell’Area uso e tutela del territorio del Comune di Portogruaro ha rilasciato alla ricorrente il titolo edilizio relativamente a due finestre sul fronte sud dell’immobile in Corso M, nella parte in cui ha escluso le due finestre realizzate sul fronte nord,

2) della nota 29.6.2005  con la quale il Responsabile del procedimento ha precisato che l’oggetto delle finestre sanate con il provvedimento di cui sub 1) doveva intendersi riferito al fronte nord e non al fronte sud del fabbricato,

3) dell’autorizzazione ambientale 24.11.2004 n. 68 nella medesima parte di cui al provvedimento sub 1) nonché la nota 11.2.2005 n. 7143.

Visto il ricorso, notificato il 16.7.2005 e depositato presso la Segreteria il 19.7.2005, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Portogruaro, depositato il 7.9.2005;

Visti gli atti tutti di causa;

Uditi alla camera di consiglio del 7 settembre 2005, convocata a’ sensi dell’art.. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come integrato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205 - relatore il Consigliere Alessandra Farina - l’avv. G per la parte ricorrente e l’avv. D per il Comune intimato;

Rilevata, a’ sensi dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come integrato dall’art. 9 della L. 21 luglio 2000 n. 205, la completezza del contraddittorio processuale e ritenuto, a scioglimento della riserva espressa al riguardo, di poter decidere la causa con sentenza in forma semplificata;

Richiamato in fatto quanto esposto nel ricorso e dalle parti nei loro scritti difensivi;

considerato

che il ricorso risulta infondato riguardo al primo motivo, in quanto trattandosi di provvedimento con il quale, per i motivi addotti, è stata negata in parte qua la sanatoria delle opere realizzate, lo stesso assume il carattere di atto vincolato, non essendo nella disponibilità dell’amministrazione la valutazione della conformità delle stesse alle disposizioni normative;

ne deriva l’inapplicabilità nella specie dell’invocato disposto dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, così come introdotto dalla legge n. 15/2005;

 considerato, quanto alle censure di merito svolte in ricorso, che le ragioni poste a fondamento del diniego di sanatoria delle vedute aperte sul fronte sud, si basano, così come esplicitato dall’amministrazione nella nota del 26.4.2005, sulla avvenuta trasformazione delle aperture esistenti da luci a vedute e sulla mancata prova da parte dell’istante dell’esistenza della servitù di veduta nei riguardi del fondo confinante o dell’assenso del proprietario di quest’ultimo all’apertura delle vedute;

che parte ricorrente ha provveduto a depositare in giudizio due dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà, con le quali è stata attestata da parte di terzi la preesistenza di aperture qualificabili come finestre poste sul lato sud;

che, tuttavia, detta documentazione non è di per sé idonea a superare le contestazioni del Comune, in quanto non fornisce la prova dell’esistenza della servitù di veduta;

il Collegio, attese le doglianze formulate in ricorso circa i limiti dei poteri istruttori della pubblica amministrazione in occasione del rilascio del titolo edilizio, osserva quanto segue.

Aderendo all’orientamento tracciato dal Consiglio di Stato, Sezione IV, 22.6.2000, n. 3525 sull’argomento, il Collegio rileva come nella realizzazione di un intervento di trasformazione edilizia ed urbanistica vengano coinvolti ambiti interessanti sia la normativa di derivazione pubblicistica, diretta a garantire il coordinato assetto delle proprietà immobiliari, sia la normativa civilistica che disciplina la proprietà.

Benché gli ambiti delle due discipline siano finalizzati alla tutela di interessi di consistenza disomogenea, quindi non perfettamente sovrapponibili, è tuttavia possibile individuare dei punti di contatto tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria.

In questi termini si è osservato che “… alcuni elementi di origine civilistica assumono una rilevanza qualificata nel procedimento del rilascio della concessione edilizia….In particolare, non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessone edilizia  l’Amministrazione ha il potere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento dell’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente” (C.d.S., IV, n. 3525/2000 cit.).

In buona sostanza, pur essendo la valutazione operata dall’amministrazione – all’atto del rilascio del titolo edilizio -  finalizzata ad assicurare la conformità dell’intervento alle prescrizioni urbanistiche vigenti, non può essere inibita un’indagine che assicuri il corretto svolgimento dei rapporti interprivati relativi all’area interessata.

Ciò nell’evidente interesse a contenere il contenzioso fra le parti ed ad evitare la compromissione dell’armonico sviluppo dell’attività di trasformazione urbanistica.

Certamente questo non comporta un obbligo per l’amministrazione di effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile oggetto della richiesta edilizia, in quanto è evidente che ciò implicherebbe un eccessivo aggravamento del procedimento.

In questi termini è quindi giustificata la regola generale per cui il titolo edilizio è sempre rilasciato “fatti salvi i diritti dei terzi”.

Tuttavia, laddove sia emersa nel corso dell’istruttoria – così come avvenuto nel caso di specie – la necessità di accertare in capo al richiedente la legittimazione circa l’avvenuta apertura di vedute (al posto di luci indicate in progetto) sul fondo confinante, legittimazione che trova il suo presupposto nell’esistenza di atti che attestino il godimento della servitù ovvero il conseguimento dell’assenso del confinante alla suddetta apertura, correttamente detto accertamento rappresenta un elemento di valutazione da parte del Comune al fine del rilascio del titolo edilizio.

Ne deriva la legittimità del diniego di sanatoria espresso dal Comune limitatamente alle aperture poste sul lato sud dell’edificio, proprio in quanto il soggetto richiedente non ha comprovato la propria legittimazione alla realizzazione delle stesse secondo le disposizioni dettate dalla disciplina civilistica, quale necessario presupposto per la legittimità dell’intervento effettuato.

In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.

Ritenuto di poter compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio;

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo rigetta.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio del 7 settembre 2005.

Il Presidente                                                                            L’Estensore

 

Il Segretario

 

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